Contro l’emanando decreto attuativo dell’art. 35 del c.d. “Sblocca Italia” è stato richiesto un referendum abrogativo per il quale è in corso una raccolta di firme: le ragioni a favore e contro la questione dei 15 nuovi inceneritori.
In attuazione dell’art. 35 del c.d. Sblocca-Italia, un emanando DPCM propone la ricognizione degli impianti di incenerimento di rifiuti (in esercizio o autorizzati a livello nazionale), e la conseguenziale costruzione di 15 nuovi inceneritori di rifiuti urbani e assimilabili volti a coprire il “fabbisogno residuo”, perbruciare 2 milioni di tonnellate di rifiuti in più all’anno (il 30% in più sui quantitativi attuali).
Non tutti sono d’accordo, però, dato che, da un lato, Lombardia e Campania in sede di Conferenza Unificata hanno espresso parere contrario sulla bozza del decreto e, dall’altro, si stanno raccogliendo le firme per abrogare la norma: la questione è divenuta, infatti, l’oggetto dei uno sei “Referendum Sociali”, da votare nella primavera 2017: 4 sulla Buona Scuola, 1 su Trivelle Zero, 1 su una petizione popolare che riconosca gli esiti del referendum 2011 contro i nuovi provvedimenti di privatizzazione del servizio idrico e dei servizi pubblici locali(riaffermando il principio che l’acqua è un bene comune) e 1 sugli inceneritori.
Ma questa opposizione agli inceneritori è solo un altro caso di “sindrome di nimby” (“non nel mio giardino”), oppure, come dicono taluni esperti, i nuovi impianti avrebbero davvero impatti negativi sull’ambiente? E, poi, una scelta del genere non va in direzione opposta alle strategie Ue sull’economia circolare che spingono, invece, sulla raccolta differenziata? E in definitiva, il sistema italiano di gestione dei rifiuti ne ha davvero bisogno?
L’emanando DPCM e la previsione di 15 nuovi inceneritori
È in corso di emanazione un decreto attuativo dell’art. 35 del c.d. “Sblocca Italia” (DL n. 133/2014) che reca “individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale”.
Lo schema del DPCM, che prevede la realizzazione di 15 nuovi inceneritori nelle regioni del centro-sud-isole, è stato già esaminato dalla Conferenza Stato-Regioni, e su di esso, dopo una serie di opposizioni da parte di 6 Regioni e successivi emendamenti apportati al testo, è stato espresso parere positivo, anche se sono ancora contrarie la Lombardia e la Campania. L’ultima seduta in cui se ne è discusso risale al 4 febbraio 2016 e, nell’occasione, il MATTM ha dato il suo assenso alla richiesta istitutiva di un Comitato, presso la Conferenza Stato-Regioni, per la gestione integrata ed efficiente del ciclo dei rifiuti.
Successivamente, in accoglimento di una richiesta formulata dalle Regioni, il MATTM ha informato di aver sottoposto lo schema di DPCM alla procedura di verifica di assoggettabilità alla VAS (Valutazione Ambientale Strategica), secondo la disciplina di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 152/2006 (Testo unico ambientale), al fine di accertare gli impatti significativi sull’ambiente della sua attuazione.
L’art. 35 dello Sblocca Italia
Alla base della questione, dunque, c’è una norma dello “Sblocca Italia”, cioè l’art. 35 del decreto-legge n. 133/2014 promosso dal Governo, convertito con la Legge n. 164/2014 (“Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività’ produttive” – Gazzetta Ufficiale 11 novembre 2014, n. 262).
La richiesta di refrendum abrogativo
Per comprendere meglio i motivi che hanno spinto il “Comitato Sì blocca inceneritori” a presentare la richiesta per avviare la raccolta firme a sostegno di un referendum abrogativo, appare opportuno leggere direttamente il testo dell’art. 35 (commi 1-5, 8-9):
Art. 35 (Misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio. Misure urgenti per la gestione e per la tracciabilità dei rifiuti nonché per il recupero dei beni in polietilene)
Comma 1. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacita’ complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l’indicazione espressa della capacita’ di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalita’ di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti cosi’ individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell’autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica.
Comma 2. Ai medesimi fini di cui al comma 1, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, effettua la ricognizione dell’offerta esistente e individua, con proprio decreto, il fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, articolato per regioni; sino alla definitiva realizzazione degli impianti necessari per l’integrale copertura del fabbisogno residuo cosi’ determinato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono autorizzare, ove tecnicamente possibile, un incremento fino al 10 per cento della capacita’ degli impianti di trattamento dei rifiuti organici per favorire il recupero di tali rifiuti raccolti nel proprio territorio e la produzione di compost di qualita’.
Comma 3. Tutti gli impianti di recupero energetico da rifiuti sia esistenti sia da realizzare sono autorizzati a saturazione del carico termico, come previsto dall’articolo 237-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, qualora sia stata valutata positivamente la compatibilita’ ambientale dell’impianto in tale assetto operativo, incluso il rispetto delle disposizioni sullo stato della qualita’ dell’aria di cui al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le autorita’ competenti provvedono ad adeguare le autorizzazioni integrate ambientali degli impianti esistenti, qualora la valutazione di impatto ambientale sia stata autorizzata a saturazione del carico termico, tenendo in considerazione lo stato della qualita’ dell’aria come previsto dal citato decreto legislativo n. 155 del 2010.
Comma 4. Gli impianti di nuova realizzazione devono essere realizzati conformemente alla classificazione di impianti di recupero energetico di cui alla nota 4 del punto R1 dell’allegato C alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.
Comma 5. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per gli impianti esistenti, le autorita’ competenti provvedono a verificare la sussistenza dei requisiti per la loro qualifica di impianti di recupero energetico R1 e, quando ne ricorrono le condizioni e nel medesimo termine, adeguano in tal senso le autorizzazioni integrate ambientali.
[omissis]
Comma 8. I termini per le procedure di espropriazione per pubblica utilità degli impianti di cui al comma 1 sono ridotti della metà.
Nel caso tali procedimenti siano in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono ridotti di un quarto i termini residui. I termini previsti dalla legislazione vigente per le procedure di valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale degli impianti di cui al comma 1 si considerano perentori.
Comma 9. In caso di mancato rispetto dei termini di cui ai commi 3, 5 e 8 si applica il potere sostitutivo previsto dall’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
[omissis]
I punti critici
Proviamo adesso a tradurre il “burocratese” che caratterizza la norma, sintetizzandone i contenuti e individuando i punti critici che sono anche alla base dello specifico quesito referendario promosso dal “Comitato Sì blocca inceneritori”. L’annuncio della richiesta del referendum abrogativo e del deposito del quesito è stata pubblicata in Gazzetta (GU n.70 del 24-3-2016).
Il Comma 1 dell’art. 35 ha demandato a un ulteriore decreto (adottato dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’Ambiente, quindi un DPCM) il compito di individuare a livello nazionale la “capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento che siano già in esercizio o autorizzati a livello nazionale”.
Si tratta del DPCM di cui si è già parlato, il quale, ha il compito di:
indicare la capacità di ciascun impianto;
individuare gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati (cioè i “termovalorizzatori”) da realizzare per coprire il fabbisogno residuo;
determinare tale “fabbisogno residuo” con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale;
stabilire che questi impianti così individuati costituiscano “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale”.
Il primo aspetto criticato è proprio questo approccio strategico del Governo, introdotto peraltro con un decreto d’urgenza, che formula l’assioma della necessità di attuare una ricognizione nazionale del “fabbisogno residuo” degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati, ricognizione che, di fatto, diviene la base per la costruzione di nuovi impianti.
La critica è estesa, pertanto, anche all’analoga introduzione della necessità di individuare un “fabbisogno residuo” anche per gli impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti solidi urbani (c.d. FORSU), criticandone anche lo spostamento della decisione dal livello regionale a quello statale.
Un ulteriore aspetto criticato è sempre relativo all’impostazione concettuale della norma, impostazione dalla quale, però, discendono conseguenze pratiche: la critica è rivolta al fatto che la norma autorizzi il funzionamento “saturazione del carico termico” degli impianti di recupero energetico da rifiuti (termovalorizzatori) sia esistenti sia da realizzare. In pratica si autorizzano gli impianti ad aumentare la propria capacità comburente, richiedendo così una maggiore quantità dei rifiuti da incenerire. Il deputato Grimoldi, replicando alla risposta del Ministro Galletti alla interrogazione parlamentare n. 3-02072 del 2 marzo 2016, ha così sintetizzato questo aspetto: “nell’articolo 35 dello «sblocca Italia», oltre che nel Piano nazionale dei termovalorizzatori, la cosa più drammatica è che voi avete messo il funzionamento degli inceneritori fino a saturazione del carico termico, che tradotto vuol dire: se io avessi un’automobile, invece che rispettare i limiti di velocità a 120-130 chilometri all’ora, se l’automobile può andare a 260, vado a 260 chilometri orari!”
Altra critica viene rivolta al fatto che tale modifica richiede un adeguamento delle Autorizzazioni integrate ambientali.
Se da un lato, poi, come accennato, la norma ha classificato questi impianti di incenerimento come “infrastrutture e insediamenti di strategici di preminente interesse nazionale” – comportandone la sottrazione alla procedura della VAS, che richiede un esame più approfondito e, soprattutto, consentirebbe a cittadini, comitati, associazioni ed Enti Locali di presentare le loro osservazioni in modo concreto – dall’altro lato ha anche previsto quasi un dimezzamento dei tempi per la procedura di espropriazione (o comunque la riduzione di un quarto dei tempi per i procedimenti in corso): anche questi aspetti sono criticati, in particolare dai promotori del referendum.
Infine, ultimo punto dolente è quello della previsione del potere sostitutivo dello Stato: l’art. 35, prevede, infatti che se le Regioni non rilasciano la Valutazione di impatto ambientale (VIA) o l’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) agli impianti nei termini previsti come perentori, possa intervenire in sostituzione lo Stato.
A favore degli inceneritori: le ragioni del No al quesito referendario
A spiegare gli intenti e i benefici del provvedimentoha provveduto di recente, il 19 aprile 2016, il Sottosegretario all’ambiente Silvia Velo, la quale ha risposto congiuntamente a una serie di interpellanze e interrogazioni (interpellanza Scotto ed altri n. 2-01232; interrogazioni Carrescia ed altri n. 3-02188, Terzoni ed altri n. 3-02191, Piras ed altri n. 3-02194, Zolezzi ed altri n. 3-02195; Zolezzi ed altri n. 3-02196) concernenti orientamenti in relazione alla realizzazione del sistema integrato di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 35 del DL n. 133/2014, con particolare riferimento ai profili riguardanti gli impianti di incenerimento.
Nell’occasione, il Sottosegretario Velo ha innanzitutto spiegato che l’emanando DPCM non modifica il Testo unico ambientale e che quindi “rimane incardinata” in capo alle Regioni l’attuazione e la completa implementazione sul territorio delle scelte strategiche che il legislatore nazionale ha affidato al Governo con l’art. 35, comma 1, del cd. «Sblocca Italia». In merito, il Sottosegretario tranquillizza: “le amministrazioni territoriali, regioni, province e comuni sono le autorità competenti anche a rilasciare le autorizzazioni per la realizzazione e la gestione degli impianti suddetti. Il ruolo strategico degli enti territoriali non viene, quindi, scavalcato, ma solamente orientato dai contenuti programmatici generali di livello nazionale, che dovrà recare il decreto attuativo della citata disposizione legislativa.
Detto ciò, il Sottosegretario Velo è entrata nello specifico contenuto del DPCM.
A suo avviso, nel determinare il fabbisogno residuo di incenerimento, lo schema dell’emanando decreto rispetterebbe in modo rigoroso le vigenti previsioni di legge:
individuando puntualmente la capacità attuale di trattamento nazionale degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani assimilati e,
conseguentemente, quantificando il fabbisogno residuo di incenerimento nazionale da soddisfare e la successiva ripartizione della capacità impiantistica necessaria per macroaree e regioni, nel rispetto comunquedegli obiettivi di legge di raccolta differenziata e riciclaggio, tenendo conto della esistente pianificazione regionale.
In ogni caso, l’individuazione del fabbisogno nazionale di incenerimento sarebbe stata effettuata tenendo in considerazione ogni singola pianificazione regionale vigente, nonché tutti i dati aggiornati, specificatamente forniti dalle regioni nel corso delle riunioni a livello tecnico e politico della Conferenza Stato-regioni, in ordine agli obiettivi di riduzione della produzione dei rifiuti in termini quantitativi, agli obiettivi di raccolta differenziata, più ambiziosi rispetto all’obiettivo minimo di legge del 65%, alle attuali forme di gestione dei rifiuti urbani raccolti in modo indifferenziato, nonché agli aggiornamenti delle autorizzazioni di cui ai commi 3 e 5 dell’art. 35 da parte delle autorità competenti.
L’individuazione della capacità attuale di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani assimilati in esercizio o autorizzati, sarebbe invece stata effettuata sulla scorta dei dati ISPRA e Federambiente, nonchédei dati forniti dalle stesse regioni e province autonome: sotto tale punto di vista, il Ministero dell’ambiente può solo svolgere una funzione di raccordo di tutte le informazioni già disponibili e pubblicate.
Il Sottosegretario Velo ha sottolineato, poi, che il ricorso al recupero energetico tramite l’impiantistica di incenerimento non è in alcun modo inteso come strumento alternativo all’implementazione e incentivazione della raccolta differenziata e del riciclaggio dei rifiuti.
La finalità del DPCM è, infatti, quella di:
ridurre il conferimento di rifiuti in discarica, calcolato a una percentuale massima del 10%,
sfruttare al meglio la rete impiantistica nazionale già esistente, delineando così una potenziale linea strategica nazionale di medio-lungo termine sulla gestione dei rifiuti per gli anni a venire, in ottemperanza all’obiettivo di ottimizzazione della rete infrastrutturale dedicata al recupero energetico su scala nazionale, previsto nell’ambito del pacchetto sull’economia circolare, presentato dalla Commissione il 2 dicembre scorso e in fase di consultazione.
Con particolare riferimento alla strategia nazionale delineata dalla disposizione dei decreti attuativi dello «Sblocca Italia», il MATTM – come accennato – ha accolto la richiesta della Conferenza Stato-regioni di istituire un Comitatopresso la Conferenza stessa per la gestione integrata ed efficiente del ciclo dei rifiuti: tale comitato avrà funzioni istruttorie, di raccordo e di coordinamento e concorrerà ad ottimizzare l’efficacia del sistema integrato di gestione dei rifiuti e assicurerà il monitoraggio e il coordinamento a livello nazionale per l’attuazione delle politiche di gestione dei rifiuti.
Il Sottosegretario Velo ritiene, pertanto, che le disposizioni introdotte nell’emanando DPCM, finalizzate a garantire la sicurezza nazionale nell’autosufficienza della gestione dei rifiuti, oltre a dare piena attuazione a quanto previsto dal legislatore nazionale, rappresentino altresì una concretaattuazione della normativa europea in tema di gestione degli stessi, perfettamente coerente con i criteri stabiliti dall’articolo 4 della direttiva quadro.
Infine, e questa è stata una interessante novità annunciata proprio in questa occasione e che accoglie una delle richieste formulate dalle Regioni, il Sottosegretario Velo ha fatto presente che lo schema di DPCM è attualmente oggetto della procedura di verifica di assoggettabilità a VAS, secondo la disciplina di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 152/2006 (Testo unico ambientale): tale procedura prevede la conclusione del relativo procedimento entro 90 giorni dall’acquisizione dell’istanza di assoggettabilità da parte dell’autorità competente, avvenuta il 17 marzo scorso.
Comunque, il Ministero dell’ambiente valuterà anche il potenziamento di tutti gli strumenti necessari finalizzati a rafforzare in termini di efficacia, efficienza ed economicità il sistema di gestione dei rifiuti nell’ambito appunto dell’istituendo Comitato.
Contro gli inceneritori: le ragioni del Sì al quesito referendario
Riepilogando, chi si oppone al progetto del Governo è contrario al piano di costruzione dei nuovi inceneritori, contenuto nell’emanando DPCM: si tratterebbe di 15 nuovi impianti che si andrebbero ad aggiungere ai 40 già i funzione e ai 6 autorizzati ma non ancora esercizio (altri 9 sono già in previsione per la costruzione).
L’art. 35 dello Sblocca Italia contravverrebbe decisamente al principio della “gerarchia dei rifiuti” prevista dalla direttiva quadro 98/2008, recepita dal TUA (Dlgs n. 152/2006), che nell’ordine delle opzioni ambientali che devono essere seguite nel gestire i rifiuti pone al penultimo posto – prima della discarica – la possibilità del recupero energetico tramite combustione dei materiali post consumo (cioè, gli inceneritori/valorizzatori), laddove le prime opzioni da seguire sono rappresentate dalla prevenzione, dalla riduzione e dalla raccolta differenziata dei rifiuti: tutti obiettivi che verranno rimarcati dalle prossime riforme della normativa dei rifiuti, rivista alla luce del pacchetto Ue sull’economia circolare adottato dalla Commissione europea lo scorso dicembre: da questo punto di vista, nessun obbligo comunitario impone all’Italia di risolvere il problema della gestione dei rifiuti dotandosi di nuovi inceneritori.
Proprio con riferimento alla raccolta differenziata non si capisce – dicono i contrari ai nuovi inceneritori – perchè la soglia del 65% della raccolta differenziata sia vista come un limite dal MATTM oltre il quale ci si debba affidare ad altre soluzioni, e non come un limite da superare (come già avviene in molti comuni virtuosi che hanno raggiunto punte dell’85%, nell’ottica di una società del riciclaggio, del riuso e del recupero dei rifiuti che fa da base a un’Europa a rifiuti zero: porre come base l’obiettivo del 65% di raccolta differenziata – già ampiamente superato in diverse regioni – è un errore da cui discende una sovrastima dei quantitativi di rifiuti da bruciare in nuovi impianti.
Per gli oppositori, inoltre, l’art. 35 e l’emanando decreto sarebbero una risposta alle istanze di quelle imprese (a cominciare dai cementifici) che chiedono con forza nuovi quantitativi di combustibili da rifiuti (Css) da bruciare nei loro impianti, a discapito degli interessi della collettività e dell’ambiente, in un territorio, peraltro, già martoriato dalla presenza di discariche legali e non, siti contaminati da bonificare e impianti obsoleti dei quali si temeono già gli impatti sulla salute. Il tutto senza considerare che si tratta di una decisione presa senza che siano stati avviati processi partecipati e condivisi tra enti e istituzioni locali, comitati e cittadini, associazioni e studiosi.
La richiesta di referendum mirerebbe, per i promotori, a riportare alle Regioni il potere di programmazione e gestione in materia di rifiuti, nel rispetto dell’art. 117 della Costituzione, restituendo agli amministratori pubblici e ai cittadini il diritto di decidere sul futuro dei propri territori: qualora si riuscissero a raccogliere le firme occorrenti (500mila: per adesso sono state superate le 300mila firme raccolte), i cittadini aventi diritto a partecipare al referendum, per abrogare la norma, dovranno rispondere “s씑 al quesito.
Inceneritori: l’Italia ha bisogno di 15 nuovi impianti? Cosa prevede il referendum del 2017
Contro l’emanando decreto attuativo dell’art. 35 del c.d. “Sblocca Italia” è stato richiesto un referendum abrogativo per il quale è in corso una raccolta di firme: le ragioni a favore e contro la questione dei 15 nuovi inceneritori.
In attuazione dell’art. 35 del c.d. Sblocca-Italia, un emanando DPCM propone la ricognizione degli impianti di incenerimento di rifiuti (in esercizio o autorizzati a livello nazionale), e la conseguenziale costruzione di 15 nuovi inceneritori di rifiuti urbani e assimilabili volti a coprire il “fabbisogno residuo”, per bruciare 2 milioni di tonnellate di rifiuti in più all’anno (il 30% in più sui quantitativi attuali).
Non tutti sono d’accordo, però, dato che, da un lato, Lombardia e Campania in sede di Conferenza Unificata hanno espresso parere contrario sulla bozza del decreto e, dall’altro, si stanno raccogliendo le firme per abrogare la norma: la questione è divenuta, infatti, l’oggetto dei uno sei “Referendum Sociali”, da votare nella primavera 2017: 4 sulla Buona Scuola, 1 su Trivelle Zero, 1 su una petizione popolare che riconosca gli esiti del referendum 2011 contro i nuovi provvedimenti di privatizzazione del servizio idrico e dei servizi pubblici locali(riaffermando il principio che l’acqua è un bene comune) e 1 sugli inceneritori.
Ma questa opposizione agli inceneritori è solo un altro caso di “sindrome di nimby” (“non nel mio giardino”), oppure, come dicono taluni esperti, i nuovi impianti avrebbero davvero impatti negativi sull’ambiente? E, poi, una scelta del genere non va in direzione opposta alle strategie Ue sull’economia circolare che spingono, invece, sulla raccolta differenziata? E in definitiva, il sistema italiano di gestione dei rifiuti ne ha davvero bisogno?
L’emanando DPCM e la previsione di 15 nuovi inceneritori
È in corso di emanazione un decreto attuativo dell’art. 35 del c.d. “Sblocca Italia” (DL n. 133/2014) che reca “individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale”.
Lo schema del DPCM, che prevede la realizzazione di 15 nuovi inceneritori nelle regioni del centro-sud-isole, è stato già esaminato dalla Conferenza Stato-Regioni, e su di esso, dopo una serie di opposizioni da parte di 6 Regioni e successivi emendamenti apportati al testo, è stato espresso parere positivo, anche se sono ancora contrarie la Lombardia e la Campania. L’ultima seduta in cui se ne è discusso risale al 4 febbraio 2016 e, nell’occasione, il MATTM ha dato il suo assenso alla richiesta istitutiva di un Comitato, presso la Conferenza Stato-Regioni, per la gestione integrata ed efficiente del ciclo dei rifiuti.
Successivamente, in accoglimento di una richiesta formulata dalle Regioni, il MATTM ha informato di aver sottoposto lo schema di DPCM alla procedura di verifica di assoggettabilità alla VAS (Valutazione Ambientale Strategica), secondo la disciplina di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 152/2006 (Testo unico ambientale), al fine di accertare gli impatti significativi sull’ambiente della sua attuazione.
L’art. 35 dello Sblocca Italia
Alla base della questione, dunque, c’è una norma dello “Sblocca Italia”, cioè l’art. 35 del decreto-legge n. 133/2014 promosso dal Governo, convertito con la Legge n. 164/2014 (“Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività’ produttive” – Gazzetta Ufficiale 11 novembre 2014, n. 262).
La richiesta di refrendum abrogativo
Per comprendere meglio i motivi che hanno spinto il “Comitato Sì blocca inceneritori” a presentare la richiesta per avviare la raccolta firme a sostegno di un referendum abrogativo, appare opportuno leggere direttamente il testo dell’art. 35 (commi 1-5, 8-9):
I punti critici
Proviamo adesso a tradurre il “burocratese” che caratterizza la norma, sintetizzandone i contenuti e individuando i punti critici che sono anche alla base dello specifico quesito referendario promosso dal “Comitato Sì blocca inceneritori”. L’annuncio della richiesta del referendum abrogativo e del deposito del quesito è stata pubblicata in Gazzetta (GU n.70 del 24-3-2016).
Il Comma 1 dell’art. 35 ha demandato a un ulteriore decreto (adottato dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’Ambiente, quindi un DPCM) il compito di individuare a livello nazionale la “capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento che siano già in esercizio o autorizzati a livello nazionale”.
Si tratta del DPCM di cui si è già parlato, il quale, ha il compito di:
Il primo aspetto criticato è proprio questo approccio strategico del Governo, introdotto peraltro con un decreto d’urgenza, che formula l’assioma della necessità di attuare una ricognizione nazionale del “fabbisogno residuo” degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati, ricognizione che, di fatto, diviene la base per la costruzione di nuovi impianti.
La critica è estesa, pertanto, anche all’analoga introduzione della necessità di individuare un “fabbisogno residuo” anche per gli impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti solidi urbani (c.d. FORSU), criticandone anche lo spostamento della decisione dal livello regionale a quello statale.
Un ulteriore aspetto criticato è sempre relativo all’impostazione concettuale della norma, impostazione dalla quale, però, discendono conseguenze pratiche: la critica è rivolta al fatto che la norma autorizzi il funzionamento “saturazione del carico termico” degli impianti di recupero energetico da rifiuti (termovalorizzatori) sia esistenti sia da realizzare. In pratica si autorizzano gli impianti ad aumentare la propria capacità comburente, richiedendo così una maggiore quantità dei rifiuti da incenerire. Il deputato Grimoldi, replicando alla risposta del Ministro Galletti alla interrogazione parlamentare n. 3-02072 del 2 marzo 2016, ha così sintetizzato questo aspetto: “nell’articolo 35 dello «sblocca Italia», oltre che nel Piano nazionale dei termovalorizzatori, la cosa più drammatica è che voi avete messo il funzionamento degli inceneritori fino a saturazione del carico termico, che tradotto vuol dire: se io avessi un’automobile, invece che rispettare i limiti di velocità a 120-130 chilometri all’ora, se l’automobile può andare a 260, vado a 260 chilometri orari!”
Altra critica viene rivolta al fatto che tale modifica richiede un adeguamento delle Autorizzazioni integrate ambientali.
Se da un lato, poi, come accennato, la norma ha classificato questi impianti di incenerimento come “infrastrutture e insediamenti di strategici di preminente interesse nazionale” – comportandone la sottrazione alla procedura della VAS, che richiede un esame più approfondito e, soprattutto, consentirebbe a cittadini, comitati, associazioni ed Enti Locali di presentare le loro osservazioni in modo concreto – dall’altro lato ha anche previsto quasi un dimezzamento dei tempi per la procedura di espropriazione (o comunque la riduzione di un quarto dei tempi per i procedimenti in corso): anche questi aspetti sono criticati, in particolare dai promotori del referendum.
Infine, ultimo punto dolente è quello della previsione del potere sostitutivo dello Stato: l’art. 35, prevede, infatti che se le Regioni non rilasciano la Valutazione di impatto ambientale (VIA) o l’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) agli impianti nei termini previsti come perentori, possa intervenire in sostituzione lo Stato.
A favore degli inceneritori: le ragioni del No al quesito referendario
A spiegare gli intenti e i benefici del provvedimento ha provveduto di recente, il 19 aprile 2016, il Sottosegretario all’ambiente Silvia Velo, la quale ha risposto congiuntamente a una serie di interpellanze e interrogazioni (interpellanza Scotto ed altri n. 2-01232; interrogazioni Carrescia ed altri n. 3-02188, Terzoni ed altri n. 3-02191, Piras ed altri n. 3-02194, Zolezzi ed altri n. 3-02195; Zolezzi ed altri n. 3-02196) concernenti orientamenti in relazione alla realizzazione del sistema integrato di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 35 del DL n. 133/2014, con particolare riferimento ai profili riguardanti gli impianti di incenerimento.
Nell’occasione, il Sottosegretario Velo ha innanzitutto spiegato che l’emanando DPCM non modifica il Testo unico ambientale e che quindi “rimane incardinata” in capo alle Regioni l’attuazione e la completa implementazione sul territorio delle scelte strategiche che il legislatore nazionale ha affidato al Governo con l’art. 35, comma 1, del cd. «Sblocca Italia». In merito, il Sottosegretario tranquillizza: “le amministrazioni territoriali, regioni, province e comuni sono le autorità competenti anche a rilasciare le autorizzazioni per la realizzazione e la gestione degli impianti suddetti. Il ruolo strategico degli enti territoriali non viene, quindi, scavalcato, ma solamente orientato dai contenuti programmatici generali di livello nazionale, che dovrà recare il decreto attuativo della citata disposizione legislativa.
Detto ciò, il Sottosegretario Velo è entrata nello specifico contenuto del DPCM.
A suo avviso, nel determinare il fabbisogno residuo di incenerimento, lo schema dell’emanando decreto rispetterebbe in modo rigoroso le vigenti previsioni di legge:
In ogni caso, l’individuazione del fabbisogno nazionale di incenerimento sarebbe stata effettuata tenendo in considerazione ogni singola pianificazione regionale vigente, nonché tutti i dati aggiornati, specificatamente forniti dalle regioni nel corso delle riunioni a livello tecnico e politico della Conferenza Stato-regioni, in ordine agli obiettivi di riduzione della produzione dei rifiuti in termini quantitativi, agli obiettivi di raccolta differenziata, più ambiziosi rispetto all’obiettivo minimo di legge del 65%, alle attuali forme di gestione dei rifiuti urbani raccolti in modo indifferenziato, nonché agli aggiornamenti delle autorizzazioni di cui ai commi 3 e 5 dell’art. 35 da parte delle autorità competenti.
L’individuazione della capacità attuale di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani assimilati in esercizio o autorizzati, sarebbe invece stata effettuata sulla scorta dei dati ISPRA e Federambiente, nonchédei dati forniti dalle stesse regioni e province autonome: sotto tale punto di vista, il Ministero dell’ambiente può solo svolgere una funzione di raccordo di tutte le informazioni già disponibili e pubblicate.
Il Sottosegretario Velo ha sottolineato, poi, che il ricorso al recupero energetico tramite l’impiantistica di incenerimento non è in alcun modo inteso come strumento alternativo all’implementazione e incentivazione della raccolta differenziata e del riciclaggio dei rifiuti.
La finalità del DPCM è, infatti, quella di:
Con particolare riferimento alla strategia nazionale delineata dalla disposizione dei decreti attuativi dello «Sblocca Italia», il MATTM – come accennato – ha accolto la richiesta della Conferenza Stato-regioni di istituire un Comitatopresso la Conferenza stessa per la gestione integrata ed efficiente del ciclo dei rifiuti: tale comitato avrà funzioni istruttorie, di raccordo e di coordinamento e concorrerà ad ottimizzare l’efficacia del sistema integrato di gestione dei rifiuti e assicurerà il monitoraggio e il coordinamento a livello nazionale per l’attuazione delle politiche di gestione dei rifiuti.
Il Sottosegretario Velo ritiene, pertanto, che le disposizioni introdotte nell’emanando DPCM, finalizzate a garantire la sicurezza nazionale nell’autosufficienza della gestione dei rifiuti, oltre a dare piena attuazione a quanto previsto dal legislatore nazionale, rappresentino altresì una concretaattuazione della normativa europea in tema di gestione degli stessi, perfettamente coerente con i criteri stabiliti dall’articolo 4 della direttiva quadro.
Infine, e questa è stata una interessante novità annunciata proprio in questa occasione e che accoglie una delle richieste formulate dalle Regioni, il Sottosegretario Velo ha fatto presente che lo schema di DPCM è attualmente oggetto della procedura di verifica di assoggettabilità a VAS, secondo la disciplina di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 152/2006 (Testo unico ambientale): tale procedura prevede la conclusione del relativo procedimento entro 90 giorni dall’acquisizione dell’istanza di assoggettabilità da parte dell’autorità competente, avvenuta il 17 marzo scorso.
Comunque, il Ministero dell’ambiente valuterà anche il potenziamento di tutti gli strumenti necessari finalizzati a rafforzare in termini di efficacia, efficienza ed economicità il sistema di gestione dei rifiuti nell’ambito appunto dell’istituendo Comitato.
Contro gli inceneritori: le ragioni del Sì al quesito referendario
Riepilogando, chi si oppone al progetto del Governo è contrario al piano di costruzione dei nuovi inceneritori, contenuto nell’emanando DPCM: si tratterebbe di 15 nuovi impianti che si andrebbero ad aggiungere ai 40 già i funzione e ai 6 autorizzati ma non ancora esercizio (altri 9 sono già in previsione per la costruzione).
L’art. 35 dello Sblocca Italia contravverrebbe decisamente al principio della “gerarchia dei rifiuti” prevista dalla direttiva quadro 98/2008, recepita dal TUA (Dlgs n. 152/2006), che nell’ordine delle opzioni ambientali che devono essere seguite nel gestire i rifiuti pone al penultimo posto – prima della discarica – la possibilità del recupero energetico tramite combustione dei materiali post consumo (cioè, gli inceneritori/valorizzatori), laddove le prime opzioni da seguire sono rappresentate dalla prevenzione, dalla riduzione e dalla raccolta differenziata dei rifiuti: tutti obiettivi che verranno rimarcati dalle prossime riforme della normativa dei rifiuti, rivista alla luce del pacchetto Ue sull’economia circolare adottato dalla Commissione europea lo scorso dicembre: da questo punto di vista, nessun obbligo comunitario impone all’Italia di risolvere il problema della gestione dei rifiuti dotandosi di nuovi inceneritori.
Proprio con riferimento alla raccolta differenziata non si capisce – dicono i contrari ai nuovi inceneritori – perchè la soglia del 65% della raccolta differenziata sia vista come un limite dal MATTM oltre il quale ci si debba affidare ad altre soluzioni, e non come un limite da superare (come già avviene in molti comuni virtuosi che hanno raggiunto punte dell’85%, nell’ottica di una società del riciclaggio, del riuso e del recupero dei rifiuti che fa da base a un’Europa a rifiuti zero: porre come base l’obiettivo del 65% di raccolta differenziata – già ampiamente superato in diverse regioni – è un errore da cui discende una sovrastima dei quantitativi di rifiuti da bruciare in nuovi impianti.
Per gli oppositori, inoltre, l’art. 35 e l’emanando decreto sarebbero una risposta alle istanze di quelle imprese (a cominciare dai cementifici) che chiedono con forza nuovi quantitativi di combustibili da rifiuti (Css) da bruciare nei loro impianti, a discapito degli interessi della collettività e dell’ambiente, in un territorio, peraltro, già martoriato dalla presenza di discariche legali e non, siti contaminati da bonificare e impianti obsoleti dei quali si temeono già gli impatti sulla salute. Il tutto senza considerare che si tratta di una decisione presa senza che siano stati avviati processi partecipati e condivisi tra enti e istituzioni locali, comitati e cittadini, associazioni e studiosi.
La richiesta di referendum mirerebbe, per i promotori, a riportare alle Regioni il potere di programmazione e gestione in materia di rifiuti, nel rispetto dell’art. 117 della Costituzione, restituendo agli amministratori pubblici e ai cittadini il diritto di decidere sul futuro dei propri territori: qualora si riuscissero a raccogliere le firme occorrenti (500mila: per adesso sono state superate le 300mila firme raccolte), i cittadini aventi diritto a partecipare al referendum, per abrogare la norma, dovranno rispondere “s씑 al quesito.
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